giovedì 16 febbraio 2017

il recupero della parola


Recupero della parola: il campo si delimita.
Automaticamente - vengono da sé - nascono delle domande; cioè: recupero è restaurazione, re-instaurazione, ritorno all'umanesimo quale municipalmente lo si intende? No, ciò sta semmai all'opposto di ciò che si può propriamente definire un effettivo recupero della parola; il quale non può certo limitarsi ad esistere come recupero della parola stampata né di quella parlata, avendo da tradursi in rapporto organico fra una letteratura ed una prassi che, indissolubili, non si possono ignorare, tantomeno per quel che concerne la loro indissociabilità.
Una letterataura che non si ponga i problemi del suo collocarsi nell'ambito di fare politica culturale non è più concepibile da un pezzo.
Si evidenzia sempre di più l'impossibilità del saggio per il saggio, nonché del testo letterario esaltante tout court vita, istinto vitale, magari sotto le specie dell'esperienza vissuta di "avanguardie" (no, no, fine del bon sauvage, sia esistenzialista sia freak); questo perché ci si accorge che la letterataura ha uno spazio ed un contesto suoi, ben specifici, che non sono la pagina ed il libro, ma sono precisamente contesto e spazio di un porsi che trascende la pagina ed il libro, quello dello stile globale del fatto letterario.
Si tratta dunque di enunciare praticamente la fine (non il fine) di una letteratuara contenitrice di dati, come datrice di contenuti; dalla qual cosa a rigor di logica non può non discendere l'enunciazione, pratica anch'essa, della fine di un atteggiamento verso la letteratura, che è quello di setta, confraternita, parrocchia invisibile (quale vezzeggiativo di ecclesia invisibilis), ancor oggi molto diffuso. Venire allo scoperto.
Venire allo scoperto significa anche il riconoscimento della forte tendenziosità ideologica della scissione fra teorico e pratico così come essa viene comunemente accettata, ossia per fede.
Anche dell'edificazione di una celebre torre, la quale, da mito negativo, sempre più va facendosi realtà positiva.
Avviene pure che contaminandosi quelli che arcaicamente si definivano come "generi letterari" (ogni medaglia avendo il suo rovescio) il canto di morte dell'arte come dell'Arte si trasformi esso stesso in arte o peggio Arte, quando si voleva eliminare un'arte (a minuscola e/o maiuscola) perché di fatto portatrice di uno statuto poetico-politico oppressivo.
Non è dunque questione di Arte, e neppure di arte.
Il paradosso sta nell'odissea di una parola, nel non essere mitica di questa odissea.
Non re-insataurazione, non ri-proposta, ma proposta, nel pieno dell'attuale - si è detto, e giova il ripeterlo. 
E' vasta la dimensione del recupero-reinvenzione.
Una parola estranea perché estraniata si reinventa e viene ripresa.
Una parola che non teme di farsi luogo e veicolo di contraddizione. Essere farsi luogo del suo medesimo recupero.
Discorso nascente, non balbettio, fra il mantico e l'ermeneutico; una logica progettuale senza utopie e senza tecnologie.
Una punta di blasfemia per la parte, qualora la si scambi con il tutto.
Una contestazione della cesura, della pietra di confino fra "interno ed esterno" (parlo delle stesse radici ideologiche di certa alienazione).
Recupero della parola significa porre in modo radicalmente diverso sia il testo letterario che i rapporti venenti ad insaturarsi fra questo e chi lo legge, lo usa, ne fruisce; e che se ne fruisca. Ed anche: stile globale del fatto letterario.
E: porre fine ai rapporti narcisistico-inquinanti "autore"-testo ripercuotentisi in rapporti paralizzanti lettore-testo. Il testo che segue* è, riguardo a ciò, esplicativo.




*Il testo cui si riferisce Riccardo Cavallo non è stato possibile - ironia della sorte - recuperarlo

dalla rivista Pianura (Genova, data non rinvenuta)















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