giovedì 5 ottobre 2017

ipotesi


Il 'drama' progettuale si volta in tragedia, e quanto classica, sotto il segno di una hybris del tutto immaginaria nell'ordine del fantasma. Tale empietà tragica manca in Michelangelo (stette tre anni a cavar pietre) come in Leonardo (ove tutto assume le cadenze di un gioco divino - pressoché senza giocatori). Né l'erotismo neoplatonico di Raffaello, ultrasensibile a tutto ciò che è singolarità ed intesità estetica in quanto vi ha di imperfettibile, cade in consimili trappole. Anche perché l'imperfettibilità raffaellesca non ha nulla a che vedere con la concinnitasi albertiana, condizione nella quale nulla si può togliere né aggiungere ad un'opera. Infinite sostituzioni, aggiunte e sottrazioni. Ogni progettualità ha del miraggio e svanisce in miraggi.

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La pietà Rondanini - la vergine dolente e pietrificata echeggia forse in anticipo le cavernosità deantropomorfizzate della leonardesca vergine delle rocce, Paris Louvre - nella seconda si eliminano il dolore e le sue origini, nella prima le si celebra e subisce. Lo spaccio delle immagini, prigioni e retini. L'icona è altra cosa altrove. Solo un pacco di fotografie dall'impaginazione casual lì per lì. L'occhio che segue la [linea?] spezzata non conosce né riconosce - al massimo è lì (deve?) ma è proprio di ciò che si questiona. Si aggiunga un regime di bassa visibilità, in costante diminuzione. Adunque non si vede mai nulla. In termini relazionali la premessa, chissà come va a finire. Non si vede mai nulla: questa l'eretica. Che cosa è Ecuba per lui e lui per Ecuba. Le opere, per eccellenza somma non riguardanti alcune, consimili le cadenze in apertura, venute da chissà dove. Che nulla si possa levare né aggiungere è precisamente l'impossibile, neanche a pensarci. In senso proustiano quel che fece Michelangelo: non cominciare mai, non finire mai. Il collasso di tutta la progettualità umanistica e rinascimentale è già incomparabilmente illustrato nel San Gerolamo dureriano, visibile depotenziamento, elevazione del già tradotto all'ennesima intraducibilità, metafisica che arretra, tempo definitivamente abbandonato alla sua inesistenza, un pendant ne è il silenzioso sermone del principe, in cui nulla è stato detto né udito. Non vi è il mistero dell'incarnazione e della morte nella vergine delle rocce, come generalmente in tutto Leonardo. Lo si trova invece, allo stato di furore e insanabile travaglio in Michelangelo. Né vi è, in Leonardo, un qualunque conteggio karmico; vi si manifesta attraverso tutti i mezzi possibili il mistero, senza genitivi. L'abisso, l'attaccatura delle cosce, le curvature non commentabili, una critica spietata di qualunque finitudine. La prospettiva dei perdimenti. Lionardo, factispecies dell'inenarrabile, dell'irrapresentabile, dell'ignoto attraverso l'ignoto. Domenico Beccafumi regredirà non alla natività del bambino in tutta la sua genetica e creaturale ineluttabilità, ma a quella della vergine, della bambina, della femmina.





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